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Europa: la terra del nord del mediterraneo verso l'Edipo meticcio


Europa: la terra del nord del mediterraneo verso l'Edipo meticcio

di SILVIA FERRARA

Partiamo dall'origine, che in tutte le cose, ci aiuta a capirne la complessità ma anche a semplificare.

Il nome Europa deve il suo significato etimologico al <corso del Sole>....Se il termine Asia è derivato dal termine accadico (w) aṣû (m), "uscire o "ascendere", l'altro termine accadico contrapposto, era erēbu (m), "entrare" o "tramontare”. Un altro riferimento è quello della mitologia greca: <terre poste a nord del Mediterraneo>... Una definizione che, letta così, appare generica, pone giusto appena l'attenzione su un punto cardinale, individua un luogo, il NORD appunto, una parola semplice, niente altro, solo una parola, una parola però che da secoli esprime un confine, una linea di demarcazione, un distinguo sociale, culturale, politico e razziale. E poi arriviamo ai giorni nostri, cari lettori, a chi come molti di voi viene definito un immigrato in Danimarca, o come per me, che per un accento misto pugliese/siculo/romano semplicemente corrisponde a <non sei Veneta vero?> e a tutti quei modi che riassumerei in un unico fattore: la diversità dell'altro da noi.

Come psicoterapeuta la diversità si potrebbe dire alla base del mio lavoro; l'osservazione è costantemente rivolta al mondo psichico dell'altro, alle sue caratteristiche, le sue emozioni, alla sua storia, a quell'unicità che è propria di ciascuno di noi. D'altra parte è un bisogno umano anche quello di familiarizzare con l'altro e di sentirsi ben adattati all'ambiente circostante, quindi, se l'altro è diverso, ci destabilizza. La questione attuale sul debito greco e la soluzione euro-tedesca contrapposta, rappresenta un ottimo esempio sulle differenze e le diversità di vedute. Sono i valori a essere diversi? La concezione dell'esistenza stessa? La lettura antropologica illustrata nell’opera del 1966, Honour and shame: the values of Mediterranean societies (Onore e vergogna: i valori delle società mediterranee) di Peristiany può aiutarci a comprendere il dibattito. E' uno dei più importanti studi di antropologia del Mediterraneo che rileva il costrutto onore-vergogna come la caratteristica antropologica più distintiva delle culture mediterranee. Onore è una nozione legata al ruolo sociale e familiare dei maschi, ed è una sorta di proclama degli uomini del loro essere giusti e orgogliosi. I fattori che sottolineano l’onore dell’uomo esprimono il suo rango sociale -come le origini familiari e la ricchezza- le sue qualità morali -come la generosità- e la sua capacità di controllare la propria reputazione, ovvero il grado di rispetto e di sottomissione degli altri membri del clan, della tribù o della famiglia. La struttura culturale dell’onore è altamente sociale ed emozionale ed è anti-utilitaristica. Non vi è alcun obiettivo utile ed economico immediato nel difendere l’onore. È chiaro che con l’onore siamo agli antipodi del pragmatismo utilitarista delle società nordiche. L’uomo d’onore meridionale lotta per ottenere il rispetto e disprezza la ricchezza, l’uomo pragmatico del nord lavora per produrre, lotta per ottenere il controllo dei beni, delle ricchezze, e l’unica buona reputazione a cui tiene è quella dell’affidabilità finanziaria, della solvibilità. Questo vale se osserviamo i due sistemi sociali nel loro territorio di riferimento. E quando si emigra come cambiano questi riferimenti? Globalmente, la nozione di immigrato allude a una posizione a parte nella nazione e nella società, a una precarietà che permane, almeno per due generazioni". Gli immigrati sono persone che arrivano in modo un po' scomposto, disorganizzato, disorientato e cercano nuove vie in cui riporre le proprie radici. Cercano un contenitore e, in cambio, sono forse disposti a dare un miglior adattamento alla realtà. Veronique De Rudder, giornalista esperta del tema dell'immigrazione in Francia, dice che "l’accezione di immigrato è spesso vicina a quella di straniero poiché allude, allo stesso modo, a una esteriorità, cioè alla frontiera che distingue tra Noi e Loro.

Kafka ha mirabilmente descritto tale atteggiamento di diffidenza e disprezzo dello straniero nel romanzo "Il Castello": "Lei non è del Castello, non è del paese, non è nulla. Eppure anche lei è qualcosa, sventuratamente, è un forestiero, uno che è sempre di troppo e sempre tra i piedi, uno che vi procura un mucchio di grattacapi…"

Riflettendo, non si può non prendere atto che la persona, resta altra-da-noi proprio in quanto lei attribuisce un significato differente dal nostro, al modo di concepire il mondo, la vita, la morte, la religiosità, la salute, la malattia, la spiritualità, l’istintualità ed altre categorie dell’esistenza che ci risultano familiari per il semplice fatto che le abbiamo formulate in modo che potessero apparire universali e monosemiche. L’altro, secondo la concezione del filosofo Emmanuel Mounier, appartiene pur sempre alla categoria dell’umano, dell’uomo o meglio della persona”. Sembra proprio di dover re-inventare, ri-disegnare la categoria dell'alterità, una nozione nuova semplicemente per con-vivere con l’altro. Un altro-da-noi (e nuovo,per giunta) che ci costringe a mutare i nostri dispositivi lessicali, per imparare a tradurlo, appunto. Quindi senza un'opera denarcisizzazione della cultura occidentale, diretta soprattutto verso le grandi vocazioni pedagogistiche e colonialiste del nostro mondo occidentale, rischieremo di cadere nell’impotenza comunicativa. In Europa, secondo gli ultimi dati disponibili (gennaio 2013) gli immigrati sono 53 milioni e 907 mila, di cui 33 milioni e 537 mila quelli provenienti dai paesi Terzi (non appartenenti all’UE). Nel 2013 le domande di richiesta d’asilo presentate in Europa sono state 435.000. Inoltre tra il primo gennaio e il 31 luglio 2015 gli sbarchi in Grecia sono aumentati del 750% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso e solo a luglio i migranti arrivati in Grecia sono stati 50mila, 20mila in più rispetto a giugno. L'emergenza immigrazione non è mai stata così drammatica. Secondo Romano Prodi: “L'Europa si trova in una condizione simile a quella dell'Italia del Rinascimento, che era prima in tutto: nell'economia, nell'arte, nella cultura, nella strategia militare. Poi è arrivata la prima globalizzazione (la scoperta dell'America), non ha saputo unirsi ed è sparita dalla carta geografica. Oggi di fronte alla seconda globalizzazione, l'Europa rischia di fare la stessa fine". Concludendo, è certo che greci, tedeschi, nordeuropei e mediterranei, parlano linguaggi differenti, ma nell'era della globalizzazione ha ancora senso enfatizzare le nostre differenze o l'Europa è pronta per la nascita di un Edipo meticcio?

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